Il tempo del gioco

Il tempo del gioco costruisce, attraverso le sfide, la formazione della persona e la posizione all’interno della gerarchia sociale ma è anche antidoto alla fatica, alla bruta logica retributiva per cui la vita è solo un lungo interminabile turno di lavoro, interrotto solo dal richiamo del sacro, obbligatorio anch’esso, pena la dannazione.

Nella competizione si definiscono i ruoli, protagonisti e spettatori, vincitori e vinti, ma netta e seria e la divisione tra i giochi e il modo di giocare degli adulti e dei bambini o dei ragazzi, così come tra l’universo maschile e femminile, quasi sempre relegate, queste ultime, nella sfera domestica.

Tra i giochi vi sono molteplici differenze, giochi individuali, tra squadre e di gruppo, sfide tra paesi o contrade, dove il contendere diveniva a volte terribilmente serio.

Risulta difficile comprendere quanto fosse diversa la sfera del tempo libero in una società organizzata su coordinate diametralmente opposte a quelle attuali ma proviamo ad immaginare una realtà in cui i giochi erano quasi sempre basati su poche, regole elementari, attrezzi ed oggetti di uso quotidiano e di facile reperibilità, oltre che di basso costo e sostituibili con poco sforzo, coerentemente ad una società abituata al rispetto delle cose e alla sobrietà, perché delle cose conosceva il valore e la fatica che costava procurarsele.

Quindi, ecco il prevalere di giochi come le biglie fatte con l’argilla che si trovava presso le sorgenti, oppure il “quarantot” che consisteva nell’abbattere a distanza birilli fatti con pezzi di legno con un altro pezzo di legno, oppure il “zöch del balù” giocato nelle piazze e nelle vie con una pallina di caucciù fatta rimbalzare sul palmo della mano.

C’erano anche giochi ben più complessi e il cui esercizio avveniva nel luogo pubblico e altro per eccellenza sia dal sacro che dalla famiglia che dal lavoro: l’osteria. Un esempio per tutti, il gioco del “pirlì”, quasi unico nel contesto delle piccole comunità locali dell’arco prealpino, che consiste in un tavolo con un percorso di legno, in cui è ricostruito una sorta di castello con birilli di legno, ai quali è associato un sistema a punti. Il giocatore deve lanciare una piccola trottola di legno mediante una frusta avvolta con cura e perizia, cercando di darle potenza e precisione per raggiungere i birilli più lontani e protetti, il castello, facendoli cadere e assicurandosi il maggior punteggio possibile.

Sfida nella sfida, di abilità e forza, intorno al “pirlì” c’era ben più di un passatempo, rito sociale che nel gesto finalmente gratuito e liberato dagli oneri e dai doveri permetteva all’individuo di ricomporsi e darsi una collocazione nella comunità attraverso l’eventuale vittoria, che per quanto effimera, costituiva rivincita e riaffermazione di sé in un contesto che offriva ben poche alternative di riscatto.

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